La vendita di azioni nominative, acquistate con i fondi della società, da parte dell'imprenditore di un'azienda in crisi non costituisce reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. È invece penalmente rilevante, in questa chiave, l'utilizzo della cassa dell'impresa per acquistare le azioni a titolo personale, senza cioè che queste entrino a fare parte del patrimonio sociale.
Lo chiariscono le Sezioni unite penali della Cassazione che, nella sentenza n. 36551.
La condotta da sanzionare è costituita dal prelievo dal conto della società delle somme destinate all'acquisto di titoli che non erano poi mai entrati tra le risorse dell'ente. È questa condotta infatti, indirizzata a procurare un utile economico all'amministratore, a realizzare la distrazione e a provocare una diminuzione fittizia del patrimonio aziendale.
Il reato si perfeziona con la dichiarazione di fallimento, «con la conseguenza che le successive e ulteriori iniziative non esercitano alcuna influenza sull'illecito, ormai realizzato in tutti i suoi elementi strutturali, e non determinano una sorta di progressione criminosa che ne sposta in avanti la consumazione».